“Pochi ma buoni” è un po’ il mantra di Quantic Dream, software house francese capitanata dal famoso autore e sceneggiatore David Cage, che dal 1997, anno di fondazione dell’azienda, ha portato nel mondo dei videogiochi appena 5 titoli, tutti vincenti. Il forte legame esclusivo con Playstation, nato nel 2010 con l’eccezionale Heavy Rain, seguito spirituale – nelle meccaniche – dell’altrettanto impressionante Fahrenheit, continua ancora oggi con Detroit Become Human, la nuova “avventura grafica moderna” partorita dal team di Cage, un’opera che, al netto delle innumerevoli ramificazioni e sottotrame, punta in particolar modo a far riflettere gli utenti sul tema dell’innovazione tecnologica, dell’IA e di un futuro caratterizzato da androidi…coscienti.

Detroit Become Human – Recensione

Fattore androide

Partiamo da una domanda basilare, che è poi il fulcro della sceneggiatura di Detroit: può, un androide, pensare? Può essere considerato un essere umano a tutti gli effetti con una propria coscienza? Può VIVERE? La scienza ci dice di no, perchè l’intelligenza artificiale altro non è che un complesso insieme di algoritmi di apprendimento che possono evolvere e continuare ad imparare da nuovi eventi, e che tramite meccanismo di premiazione/punizione, possono assimilare una finta coscienza (e qui passatemi il termine) composta da azioni passate, ed evitare, o replicare, di agire secondo determinati pattern. Dunque, a tutte quelle domande esiste una sola risposta: NO.

Fermo restando quanto detto, però, anche nel più freddo dei videogiocatori subentrerà un fattore personale: che si tratti di empatia, o di simpatia verso il tema o di riconoscersi in alcune situazioni decisamente attuali, gli utenti non avranno alcuna fatica nel considerare, capitolo dopo capitolo, ogni androide una persona, che soffre, sorride, ragiona e talvolta si disprezza, come ogni essere umano. Partendo dalla convinzione di poter di influenzare il videogiocatore come meglio crede, Detroit Become Human racconta la storia di 3 androidi, ciascuno specializzato in particolare ramo e con specifiche competenze. Connor è un agente di polizia super avanzato, il modello migliore della CyberLife, l’azienda produttrice di androidi; Kara è un modello domestico, programmato per pulire casa, adempiere a particolari servizi e prendersi cura della famiglia come farebbe una mamma; Markus è un gentile assistente personale di proprietà di un ricco pittore costretto su una sedia a rotelle. Ogni capitolo della storia permette di conoscere meglio i 3 androidi e tutto ciò che ruota attorno alla loro sfera quotidiana: i loro compiti, le loro abilità, i personaggi/proprietari con cui hanno a che fare ogni giorno. Grazie ai 3 protagonisti, partiremo per un viaggio alla scoperta della routine quotidiana di un androide e di ciò che gli è permesso fare, ma anche di tutte le possibili situazioni che possono spingerlo al limite della devianza, ovvero a comportarsi in modo anomalo, ribelle, smettendo eseguire i compiti per cui è stato progettato.

Senza entrare troppo nelle singole storie, che meritano di essere scoperte in tutte le loro sfumature e ramificazioni, ciò che possibile dire è che David Cage ha reso il tema Android vs Human – che è poi il razionale che giustifica il titolo – come una fortissima citazione verso eventi della storia attuale e passata. Perchè in Detroit non mancheranno parole e concetti fuori luogo riconducibili ad altri temi scottanti della società moderna, come la lotta per i diritti gay, il razzismo, l’immigrazione e tanto altro.

Rifletti e agisci, ma fallo in fretta

Caratteristica principale dei videogame targati Quantic Dream è l’imprevedibilità degli eventi, che porta ciascun personaggio a dover prendere continue decisioni, quasi tutte fondamentali. In Detroit Become Human, David Cage ha eliminato il “quasi”, con risultati eccellenti, perchè le ramificazioni possibili per ogni capitolo raggiungono livelli a dir poco pazzeschi, ben superiori al numero di variabili considerate finora da produzioni simili. Salvo qualche capitolo di transizione in cui potremo perderci l’interazione con un paio di oggetti o qualche evento particolare ma di secondo piano, le fasi più importanti della storia possiedono tante strade diverse, che portano ad altrettanti finali. Ci sono capitoli con anche 4 finali diversi, intermedi, che andranno a condizionare gli eventi futuri. Perché in Detroit la correlazione con i capitoli successivi – e con le conseguenze tra i vari personaggi – è così forte che correremo il rischio di perdere un protagonista già dalle battute iniziali, e via via lungo l’arco narrativo in quasi tutti i rispettivi frammenti di storia. Il racconto segue un filo logico molto interessante, mantenendo l’alternanza tra i personaggi: da Connor a Kara, e poi Markus, tutto in perfetta simultanea. Non mancheranno momenti in cui uno sentirà parlare dell’altro, o ne avrà a che fare direttamente, ma il tutto risulta naturale e mai forzato.

Le peculiarità di ciascun androide, poi, andranno a caratterizzare non solo la storia e il rispettivo profilo caratteriale – che potremo decidere con le varie scelte – ma anche alcuni aspetti di gameplay. In tal senso, se Kara e Markus risultano l’esatta copia di un umano, e dunque non viene concesso loro un cambio di registro in termini di azioni rispetto ad ogni altro essere vivente, la storia è diversa con Connor, con cui avremo modo di mettere su piccole indagini per cercare di capire cosa è successo e come conviene affrontare la questione in ballo. Il gameplay di Detroit Become Human non è poi così diverso da Beyond, e ne è, infatti, la sua diretta evoluzione: quicktime events a profusione, tra combattimenti e azioni particolari, e varie interazioni più o meno statiche con l’ambiente. Poi ci sono dei dettagli impliciti che andranno ad influire sulla storia, come il tempo impiegato per compiere un’azione, e il tempismo. Tutto ciò, per almeno 10-12 ore di gioco per singola run. Poco? Decisamente no, contando che si tratta di uno storytelling e che, soprattutto, è aperto a molteplici strade per diversi finali.

Quanto dista questa realtà?

Già maestri del motion capture, doppiaggio e cura dei particolari, Quantic Dream non delude le aspettative in termini tecnici per la sua nuova avventura, che in questa particolare esclusiva Sony si presenta essenzialmente perfetta. Impossibile migliorare con gli standard odierni per ciò che concerne le espressioni del viso e soprattutto le animazioni, davvero credibili e realistiche. Non si tratta di un abuso di terminologia: Detroit è davvero perfetto da questo punto di vista, perlomeno per quanto è possibile realizzare oggi. Nel cast del gioco figurano attori/attrici famosi, come Valorie Curry (Kara), Jesse Williams (Markus), Lance Henriksen e Clancy Brown (due personaggi secondari) utilizzati sia per la parte di modellazione poligonale e animazioni, sia per quella del doppiaggio; a tal proposito, noi italiani non abbiamo davvero nulla di cui lamentarci, perché come per tutte le esclusive Sony, anche in Detroit la localizzazione è perfetta.

La struttura del gioco è rimasta fedele alla storia del team di sviluppo, con ambientazioni di piccole dimensioni molto ricche di dettaglio, guidate e piene di possibili interazioni, ed un’interfaccia di gioco integrata con l’ambiente circostante. Dopo aver fatto i complimenti agli sceneggiatori per la bellissima storia, vale la pena spendere un paio di elogi anche per la regia, il taglio televisivo e il crescente coinvolgimento è in grado di generare il titolo.

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VALUTAZIONE
9,0
Commento finale
Se non avete apprezzato le opere precedenti di David Cage, allora Detroit Become Human non avrà nulla da dirvi, perchè evidentemente il genere non fa per voi. Se, al contrario, l’esperienza con Heavy Rain e Beyond: Due Anime vi ha convinto, quest’ultima esclusiva Sony vi terrà incollati allo schermo con ancora più coinvolgimento. La storia di Connor, Kara e Markus è bella, ricca, intensa, piena zeppa di riflessioni che vanno al di là del puro gaming. Quantic Dream ha portato a casa una vittoria schiacciante, da qualunque prospettiva si giochi il titolo al netto della sua peculiarità di puro storytelling. Giocatelo, poi confrontate le vostre scelte con quelle degli amici, e provate a rigiocare i capitoli - rigorosamente dopo aver concluso una run intera con le scelte più sincere - cercando nuove sfumature, eventi e path. Detroit non vi deluderà.
PRO
Storia ricca di sfumature
QTE e dialoghi ben articolati
Tecnicamente superbo
CONTRO
Resta per la nicchia delle opere precedenti