Hai mai pensato di iscriverti ad un club privato dalle dubbie vedute sulla Terra, un’associazione che trama contro lo Stato o staccare una tessera per una nuova religione? O hai mai pensato di “giocarci su”? Bene, allora Sole Survivor Games e Team17 potrebbero avere una sorpresina per te. Come già ci indica l’eloquente titolo del gioco, con Honey, I Joined a Cult potrai istituire un tuo personalissimo culto, mostrare la retta via ai tuoi seguaci ed infine reclutarli per farli entrare nella ristrettissima quanto vipposissima cerchia degli adepti.

Honey, I Joined a Cult – Recensione

Le regole d’oro

Per fare una dignitosa carriera (criminale?) nel mondo delle sette religiose, devi sapere che sarà fondamentale rispettare alcune regole, impiegate tra l’altro in molti dignitosi mestieri attuali. La prima regola che ci viene tramandata dal Don dei culti è l’inganno, che costituisce, assieme ai più vari e disparati stratagemmi, le fondamenta di qualsiasi folle movimento. Mettere in piedi un culto religioso di successo significa ingannare il prossimo, quello che domani sarà il tuo adepto di maggior rilievo, e prima ancora un seguace da convincere. L’inganno si costruisce sulla base di almeno 3 elementi: un nome figo per la tua setta, Dio e reliquia da venerare altamente stravaganti, e un vestiario ancora più senza senso, se possibile. Tradotto in termini videoludici, dopo aver avviato la partita in Honey, I Joined a Cult, sarai chiamato a scegliere come caratterizzare il tuo culto attraverso una serie di elementi che spaziano dall’aspetto del Capo della setta fino al Signore da pregare, passando per nomignoli, vestiti e stranissimi berretti.

Determinati gli estremi della setta, il gioco ti catapulterà nel luogo della “Santa Sede”, uno spiazzale verde da usare a tuo piacimento. In questo spazio casellato avverrà la fase 2, ovvero la costruzione del tuo quartier generale. Tramite una progressione di natura gestionale basata sull’esperienza raccolta durante le ore di gioco, il titolo ti consentirà di costruire una serie di stanze utili a soddisfare un po’ tutti i bisogni dei tuoi adepti, come le stanze da letto, i bagni, la cucina o sale ad uso esclusivo per la venerazione del culto. Trattandosi di un gioco non puntualmente catalogabile nel segmento dei city builder, l’opera di Sole Survivor mette a disposizione un semplice ma funzionale sistema di costruzione, suddiviso in varie categorie raggiungibili da un menu fisso posto nella parte inferiore dello schermo – sulla falsariga di quanto visto in altri titoli, come RimWorld, da cui trae forte ispirazione anche artistica. Tramite questo menu strumenti avremo la possibilità di entrare in modalità editing per ciò che concerne la costruzione delle fondamenta, delle singole stanze e di tutti gli oggetti potenzialmente creabili.

L’aspetto gestionale

La gestione del quartier generale rappresenta fondamentalmente il cuore del gameplay, perché ad esso sono collegati direttamente aspetti da tenere in considerazione nella vita quotidiana dei seguaci, quali l’umore, la pulizia, la soddisfazione e la qualità degli oggetti creati. Come facilmente ipotizzabile, il gioco si avvale di un sistema di crescita della Santa Sede basato sulla necessità di sbloccare nuove stanze, oggetti, abilità o missioni attraverso un sistema di ricerca in laboratorio, che sfrutta la fede accumulata dai seguaci. La robustezza del culto si baserà fondamentalmente su cinque aspetti: la fede, l’influenza, le abilità nelle PR per il reclutamento di nuovi seguaci, la tensione sociale scaturita dai media e dai cittadini locali, ed il vile denaro.

Ciascuno di questi aspetti dovrà essere monitorato nel tempo, cercando di tenere basso il livello di tensione per evitare manifestazioni o retate della polizia, ma anche al tempo stesso migliorando le pubbliche relazioni per garantire la crescita del culto tramite nuovi ingressi. L’equilibrio da tenere tra i vari fattori che determinano la “salute” della setta servirà anche e soprattutto a farla crescere con l’acquisizione e la futura promozione di nuovi follower. In Honey, I Joined a Cult, l’unico modo per monetizzare sarà proprio legato all’aumento del numero dei seguaci, che pur non vivendo nel quartier generale con gli adepti, durante le loro visite porteranno all’associazione una notevole quantità di denaro, da impiegare in altre attività. Dopo un certo periodo di affiliazione, i seguaci potranno essere promossi ad adepti, ovvero elementi che vivranno il culto 24 ore su 24 – e a cui fornire di conseguenza tutti i servizi per poter vivere nel quartier generale. Oltre a poter svolgere mansioni tra le varie stanze della sede in base alle loro caratteristiche (ciascuno di essi avrà abilità specifiche), gli adepti potranno anche essere mandati in missione per raccogliere nuovi oggetti decorativi o aumentare il livello delle pubbliche relazioni.

Personaggi stravaganti

Tenere alto il livello del morale degli adepti sarà la vera sfida del gioco in termini gestionali. Dopo le prime fasi del gioco scoprirai che ogni membro della setta possiede caratteristiche peculiari, sia caratteriali che lavorative. Sarà dunque tuo il compito, in qualità di spalla destra del fondatore del culto, assegnare a ciascun adepto il lavoro giusto da svolgere nel quartier generale, soddisfacendo anche le sue aspettative in termini di qualità, come il livello di igiene o i decori presenti nelle stanze.

Da un punto di vista tecnico, il titolo realizzato da Sole Survivor Games pesca a piene mani da RimWorld e simili, giocando sul destino di sim dalle fattezze morbide e paffute, con espressioni facciali di chiara ispirazione emoji. Nella festa di colori e situazioni stravaganti in cui ti ritroverai dopo pochi click, a mostrare il fianco è soprattutto l’interfaccia. Per quanto gli sviluppatori abbiano cercato di mettere ordine, con menu piuttosto chiari e funzionalità facili da trovare, le numerose possibilità lasciate all’utente hanno portato ad un livello di complessità dell’interfaccia non trascurabile, in cui non è chiara o addirittura non supportata, ad esempio, la scorciatoia da tastiera per aprire una certa schermata. Infine, azioni di maggior uso come l’assegnazione dei lavori o la consultazione delle schede dei personaggi potevano essere studiate meglio. Migliorabile anche l’IA in alcuni contesti, soprattutto nel (non) seguire la routine stabilita, come ignorare una stanza o lavorare ad una certa attività.

Ulteriori informazioni

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VALUTAZIONE
7,5
Commento finale
Honey, I Joined a Cult è un gestionale colorato e semplice da apprendere, ma incorniciato in un gameplay stratificato che si lascia piacevolmente scoprire. La stravagante idea che definisce il concept del gioco è mossa da un sistema di crescita molto intelligente, che consente all’utente di scoprire dinamiche e funzionalità col progredire dell’esperienza accumulata fino a quel momento, senza obbligare in alcuno modo l’utente ad accelerare le tempistiche di crescita. A patto di farsi andare bene alcuni difetti di IA ed interfaccia, il gioco saprà intrattenerti per ore e ore, tra momenti iconici e frasi senza senso: d’altronde, non è forse la chiave di volta di ogni nuovo culto?
PRO
Graficamente ispirato
Controlli molto semplici
Progressione precisa ed ordinata
CONTRO
Interfaccia migliorabile
L'IA a volte non sembra seguire gli ordini impartiti
Lento "refresh" di seguaci ed adepti