Metal Gear Survive è un esperimento fortemente voluto da Konami, che in qualche modo doveva fare i conti con l’uscita di scena di Kojima, non ancora assimilata dopo il successo di The Phantom Pain. La scelta del publisher giapponese è molto intelligente: produrre un nuovo capitolo della serie ripartendo da quanto lasciato in eredità da Kojima non sarebbe stato semplice in virtù dell’attaccamento dei fan al game designer e al brand; pertanto, la realizzazione di uno spin-off ambientato in un universo parallelo alla saga e collocato tra gli eventi degli ultimi 2 capitoli risulta indubbiamente una produzione ben più semplice da gestire, nonchè l’occasione migliore per sperimentare inedite meccaniche di gioco per la serie.
Metal Gear Survive – Recensione
A new beginning
Le premesse per godere appieno di quanto ha da offrire Metal Gear Survive sono semplici e chiare: dimenticare quanto realizzato da Kojima. D’altronde, lo spin-off Konami con l’abolizione della parola “Solid” dal nome del gioco ha voluto rimarcare ancor di più la lontananza dei progetti, che in Survive si traduce con un nuovo personaggio e un contesto inedito per il brand. Detto che ci troviamo in un universo parallelo a quello conosciuto nella serie, il protagonista dell’avventura dovrà farsi strada tra i cosiddetti Vaganti, esseri umani tramutati in zombie per mezzo del Kuban, una particolare energia che alimenta questa trasformazione. Fortunatamente durante l’arco narrativo non avremo tutti contro; al contrario, per tutta la storia avremo al nostro fianco Vergil, un’IA che avrà il compito di dare un po’ di ordine ed armonia al tutto, e tanti nuovi alleati.
Nonostante Metal Gear Survive porti con sè una componente cooperativa, il titolo Konami pone le sue basi sull’esperienza in singolo giocatore, dando la giusta importanza alla trama. Questa, raccontata con estrema calma, vive di costanti alti e bassi per tutta l’avventura; nel complesso è piacevole e coerente con la forma di questo spin-off, ma non è ovviamente ai livelli a cui ci ha abituato la saga. Se il supporto di Vergil permetterà al protagonista di avere una chiara lettura delle missioni da affrontare, infatti, con la gestione degli altri aspetti di sopravvivenza non potremo fare affidamento ad alcun supporto esterno; perchè il “Survive” di cui si parla non è solamente riferito alla presenza dei nemici, ma anche al dover fare i conti con la fame, la sete e talvolta l’ossigeno, prendendo spunto dal nuovo concetto di “sopravvivenza totale” in cui l’utente viene sempre più coinvolto nei titoli open world. La condizione fisica del protagonista sarà, però, solo uno degli aspetti da curare in Metal Gear Survive, che si compone principalmente di 2 grandi attività: ricerca e difesa della Mother Base.
Crescere assieme
Le missioni sono strutturate in modo da permettere al videogiocatore di andare alla ricerca di nuovo “personale” da impiegare nella crescita della stazione in varie attività, utili a migliorare le condizioni e la stabilità del Quartier Generale. Il potenziamento della Mother Base, da sviluppare parallelamente al reclutamento di massa, servirà per respingere gli assalti dei Vaganti che a grappoli si riverseranno verso i punti più caldi delle nostre attività. L’aspetto forse più interessante di tutto il gameplay è quello gestionale, perchè nella sua semplicità risulta curato, funzionale e anche divertente. Per mantenere una buona condizione sarà possibile cacciare qualche specie animale, ma ipotizzare di sopravvivere con la caccia al netto di quanto c’è da fare non è la mossa migliore: Metal Gear Survive dispone, quindi, di un buon sistema di crescita della Mother Base che permette al videogiocatore di allestire un vero e proprio campo autonomo. Andando in avanscoperta avremo la possibilità di creare nuovi edifici e mettere in piedi flussi di produzione di cibo e altre risorse da condividere anche con il resto dell’equipaggio. Costruire strutture non fondamentali avrà come bonus la sostenibilità degli attacchi e delle spedizioni di ricerca di risorse e progetti da impiegare nella crescita della base.
Sebbene sia evidente l’intento di Konami di invitare l’utente ad esplorare la mappa – anche per via dei dungeon presenti – Metal Gear Survive non brilla in termini di level design, profondità artistica e creatività. Il titolo risulta infatti ripetitivo fin dalle prime ore, con mansioni e missioni cicliche che non apportano vere e proprie aggiunte al gameplay di base che, come detto, consiste nella ricerca e nella difesa. In più, se il netto contrasto di genere tra Survive e la serie è stato già ampiamente considerato ed accettato, ciò che fa storcere il naso è il fatto che questo spin-off abbia ereditato anche la struttura di gioco di Phantom Pain, evidentemente incompatibile con le dinamiche di questo survival. Il combat system, ad esempio, non solo è appesantito da animazioni tozze e lente, ma si basa interamente su un paio di pattern di attacco e di difesa che devono essere ripetuti senza alcuna esitazione per non morire.
Tra le note positive della scoperta e dell’esplorazione c’è il sistema di crescita, che si sviluppa nelle solite 2 fasi: la prima è dedicata al personaggio, mentre la seconda riguarda prettamente le armi. Con l’upgrade del protagonista avremo la possibilità di investire l’energia Kuban prettamente in abilità passive; le armi, invece, potranno essere potenziate e abilitate a determinate modifiche che ci torneranno utili nelle situazioni più disparate. Queste pratiche di crescita risultano molto utili per addolcire la curva di apprendimento, che nelle prime ore tende ad essere abbastanza ripida a causa delle numerose variabili da tenere a bada. Chi intende arrivare all’end-game preparato, però, si troverà davanti un nuovo set di contenuti interessante, che spazia tra nuove quest secondarie, classi e nemici.
Cooperativa Kuban
La proposta multiplayer di Metal Gear Survive, ahinoi, non si discosta da quanto visto in single player. L’unica modalità prevista per il comparto multigiocatore consiste nella difesa dell’estrattore di Kuban da 3 ondate di nemici di difficoltà crescente, intervallati da una fase di pianificazione in cui poter raccogliere quanto disseminato nel territorio. Per potersi difendere, analogamente a quanto avviene nella campagna in singolo giocatore, il team – composto in tutto da 4 giocatori – potrà creare trappole, bombe e quant’altro presente nella struttura di gioco. Considerando che la modalità co-op è mutuata dall’esperienza principale, non solo ne eredita i difetti ma finisce col risultare quasi superflua per via della totale assenza di nuovi elementi di gioco.
Oltre ad aver ereditato buona parte delle animazioni dall’ultimo capitolo della serie, Konami ha ovviamente deciso di sfruttare diversi altri elementi da The Phantom Pain, compresa la palette di colori e i modelli poligonali. Il livello di pulizia texture e di qualità generale è stato ritoccato verso il basso per venire incontro al tipo di gioco, necessariamente più flessibile e dinamico. Peccato che il level design non sia all’altezza del brand, con mappe decisamente meno ispirate e ambienti riciclati.
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Spin-off interessante
Ha poco a che fare col brand