Benoit Sokal ha segnato la storia delle avventure grafiche “di nuova generazione” dei primi anni Duemila. Le avventure della giovane avvocatessa newyorkese Kate Walker sono state fonte d’ispirazione per decine di punta e clicca che negli anni a venire hanno provato a replicare la forma e talvolta il design di questa splendida opera targata Microids. Le avventure grafiche, però, con l’evoluzione del mercato console e dei generi videoludici sempre più ibridi, hanno cominciato a trovare meno spazio tra gli scaffali – anche digitali – degli utenti, costringendo varie produzioni – tra cui la stessa serie Syberia, giunta al secondo capitolo – a fermare la propria affermazione. Il 2017 rappresenta, però, un possibile punto di svolta per la bella Kate, pronta a tornare alla ribalta in Syberia 3 grazie ad un ulteriore investimento di Anuman Interactive.
Syberia 3 – Recensione
La clinica di Zamiatine
Kate Walker è tornata per una nuova avventura, che come nel più classico degli incipit videoludici non comincia per il verso giusto. Salvata da una tempesta di neve da un gruppo etnico locale, gli Youkol, il risveglio della newyorkese nella Clinica di Zamiatine è fin da subito traumatico. Tra loschi dottori e metodi psicologici quanto mai discutibili, Kate è costretta all’ultimo piano dell’edificio per via del disonesto personale di Zamiatine, una mosca bianca all’interno di una struttura sinistra e malfamata. Quella che si prospetta l’ennesima fuga da Alcatraz per Kate, diviene realtà appena connessi i primi puntini alla ricerca della verità.
I richiami alla serie ci sono fin da subito, tra personaggi equivoci e buffi e piccoli automi in perfetto stile Sokal. Nel 2017 e con un comparto tecnico arretrato come quello di Syberia 3, è difficile riuscire a trasmettere le stesse emozioni e la medesima magia dei primi due capitoli, ma non nascondo di aver provato la sensazione di immergermi, con un tuffo nel passato, in ricordi e immagini dei bei vecchi titoli dei primi anni Duemila, meno cervellotici rispetto all’alba del genere, ma altrettanto validi.
Gli anni passano, i click restano
Syberia 3 si propone come un’avventura grafica re-ingegnerizzata, che punta a raccogliere consensi sia dai nostalgici come me, sia da chi ha poco a che fare con le avventure grafiche. Il primo aspetto interessante dell’opera sta nella diminuzione di click/azioni per osservare in maniera precisa gli oggetti interattivi. La visuale zoomata sugli oggetti si sposta automaticamente portando il mouse o lo stick analogico verso i bordi dell’area, a favore di una fruizione dei contenuti più semplice ed immediata. I rompicapo sono in linea con le aspettative attuali, più semplici rispetto al passato, e decisamente più user-friendly. Ciò non toglie che alcuni enigmi richiedono il giusto impegno per essere portati a termine: in questo caso, parlo sia di puzzle in piena regola che di sequenze di azioni e dialoghi da compiere al fine di continuare la storia. Tra le novità della serie vi è anche un sistema di dialogo non più lineare, che consente all’utente di scegliere tra più risposte caratterizzate da uno stampo emotivo opposto o sfumato.
Nonostante, ad oggi, sia molto difficile proporre un punta e clicca appetibile per le nuove generazioni, Microids ha cercato comunque di offrire all’utenza un’opera fresca e versatile. I punti chiave dell’esperienza di Syberia 3, che tra l’altro ha dovuto garantire una fruizione dei contenuti adeguata anche su console, sono principalmente due: poca staticità e tanti rompicapo. Mantenendo un’identità da punta e clicca, l’opera di Sokal è comunque lontana dal dinamismo delle altre avventure “ibride” (pensiamo al recente Little Nightmares) ma nel suo piccolo tira fuori belle idee. Ho apprezzato la stretta connessione tra le scene di intermezzo realizzate in CG, con i vari dialoghi e le animazioni proposte tramite il motore grafico. In tal senso, Syberia 3 dà l’idea di provarci e sfruttare al massimo il proprio comparto tecnico, anche rischiando qualche animazione tozza ed inevitabili deficit grafici. Il risultato, comunque, è ottimo per chi bada alla sostanza: Kate e i vari comprimari riescono ad interagire in modo naturale, non rimangono impalati e privi di emozioni scambiandosi battute di una certa rilevanza semantica e contestuale. Il paragone con le classiche avventure grafiche vecchio stile è dunque vincente sotto tutto i punti di vista, e ciò basta per promuovere un titolo che non si candida, certo, per il Best Graphic Award.
Nonostante gli sforzi, il level design di Syberia 3 non rispecchia quello del primo capitolo, probabilmente irraggiungibile, ma è in linea con i risultati ottenuti con la seconda iterazione della serie. Siamo di fronte a un ambiente 3D in cui le singole stanze e i vari angoli possono nascondere location ulteriormente esplorabili. Ad esempio, nell’atrio iniziale della clinica potremo entrare in aree prive di caricamento, come la sala ricreazione e lo studio del dottore; esistono, però, zone ad accesso previo caricamento, dunque più elaborate e mediamente più interattive, che spezzano un po’ il già limitato dinamismo dell’esperienza. Chi è abituato al genere, noterà anche lo scarso numero di elementi interattivi nell’ambiente circostante: la lamentela non è riferita al numero di oggetti da utilizzare per portare a compimento determinate azioni, quanto ai pochi elementi da analizzare anche solo per semplice curiosità. Come detto, il punto di forza di Syberia 3 non è – e non vuole essere – il comparto tecnico, peraltro sofferente di lacune nella sincronizzazione tra dialoghi e movimenti delle labbra e riciclaggio di modelli poligonali. È bene anche dimenticare la meravigliosa colonna sonora del primo capitolo e le eccellenti recitazioni dei vari personaggi incontrati durante le precedenti avventure di Kate.
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Momenti nostalgici
Comparto tecnico sottotono