Pur trattandosi di una produzione a medio budget, Thymesia ha avuto il merito di prendersi una corposa fetta di attenzione da parte degli affezionati al genere souls-like fin dal primo trailer di presentazione, vuoi per i numerosi richiami a Bloodborne sia dal punto di vista del gameplay che dello stile artistico, vuoi per l’attuale mancanza di vere alternative (tolto, chiaramente, Elden Ring stesso). Nonostante le buone premesse e il focus ricevuto, va però messo in primo piano un aspetto fondamentale per la valutazione del titolo: Thymesia non è nato per considerarsi una tripla A, e per quanto le piccole-medie produzioni possano riservare sorprese, non è lecito aspettarsi a prescindere di avere tra le mani sempre e comunque un’opera di spessore.
Thymesia – Recensione
In cerca di salute
Il titolo realizzato da OverBorder, alla loro prima creazione videoludica, ci porta nel regno di Hermes in momento di piena crisi in cui uno strano morbo sembra aver preso di mira l’intera umanità. Un po’ come avviene in Bloodborne, tra caccia, cacciatori e cacciati, Thymesia ci mette nei panni dell’eroe che dovrà porre fine al male, Corvus, evidentemente il prescelto in grado di scacciare le bestie che si aggirano per Hermes e dunque arginare la malattia che invade il regno. Nonostante i chiari rimandi all’universo dell’esclusiva Sony, OverBorder è riuscita ad imbastire un copione tutto sommato solido, sostenuto da pilastri narrativi non così abusati (era ben più facile ricadere in clichè come altre produzioni che in passato hanno tentato di emulare le opere From Software). Detto ciò, va da sé non aspettarsi dalla trama altro se non la semplice funzione di accompagnamento al gameplay, che tra frasi poco chiare e concetti mal masticati vi porteranno a brandire le armi per tutto il regno di Hermes, spesso senza un vero interesse nei confronti della storyline.
Va anche detto che a fare confronti con produzioni del calibro di Bloodborne, si cade nell’errore di aspettarsi un clone, o quantomeno una user experience simile sotto tutti i punti di vista. Al contrario, Thymesia si discosta dal capolavoro From Software anche da questo punto di vista, a partire dal famigerato level design. Se da una parte abbiamo un sistema di aree interconnesse tra loro, fatte di scorciatoie da scoprire, dall’altra l’opera OverBorder sacrifica l’avventura in favore di un incedere più lineare sia all’atto pratico che logico, contraddistinto da un percorso sempre molto chiaro, poco ramificato, e che termina puntualmente con un boss. Degna di nota la possibilità di accedere a missioni secondarie dopo aver completato una zona: questa soluzione non aggiunge nulla a fini narrativi e costringe l’utente a tornare sui passi già percorsi, ma è utile per provare nuovi approcci e farmare esperienza. Anche perché da questo punto di vista Thymesia differisce ancora con le opere From Software, consentendo al videogiocatore di ripartire da zero con la progressione del personaggio (quantomeno con le abilità) senza subire alcuna penalità. Se gli attributi di base non potranno essere rimescolati, costringendo l’utente a ponderare in modo chiaro come spendere la propria esperienza, le skill potranno essere riassegnate da zero, anche in funzione dell’area corrente e dell’abilità maturata fino a quel momento.
Una propria identità
Alcuni paragoni con Bloodborne cadono anche sotto il profilo del combat system, in cui Thymesia riesce ad essere ben più originale di altre produzioni che in passato hanno tentato di emulare i capolavori di From Software. Corvus si rivela un abile ed agile combattente con armi a corto raggio, in grado di schivare con balzi felini gli attacchi avversari ed attaccare con una certa rapidità e precisione qualsiasi nemico. Tuttavia, nonostante le sue skill fisiche evolute, con l’attacco principale sarà solo in grado di ferire temporaneamente i nemici, che grazie alla peste riusciranno a rimarginare in tempi brevi la propria salute – se volete, è un richiamo alla rigenerazione in Bloodborne, anche se funziona in modo diverso ed agisce sul versante opposto. Per rendere effettivi gli attacchi bisognerà invece usare l’artiglio di cui è dotato Corvus o “scippiare” temporaneamente l’arma dai nemici per attaccarli con il loro stesso strumento di morte, intriso del potere del morbo.
E così, tra schivate, attacchi temporanei e fendenti effettivi, arriverete ai titoli di coda di Thymesia dopo una sfida di buona difficoltà, non frustrante né epica come quella di Bloodborne, ma di certo soddisfacente.
Passando al lato artistico, detto che il level design si articola fondamentalmente in mappe poco verticali, è Corvus l’unico vero elemento ispirato del titolo, che però non trova appoggio in alcun alcun comprimario o nemico degno di nota. Anche le location, in un primo momento interessanti, cominceranno a svelare qualche lacuna tecnica e passaggio abbozzato, lasciando ad una manciata i momenti interessanti.
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