Con il nuovo corso della serie Wolfenstein, MachineGames ha provato a tirare su un universo alternativo in cui il nazismo è riuscito nell’intento di controllare buona parte del Vecchio Mondo. Il compito di liberare l’Europa dalla tirannia è toccato, tra gli altri, al soldato Blazkovicz, che non senza fatica è riuscito su larga scala ad infliggere notevoli colpi all’esercito nazista attorno alla metà del Novecento. Con Youngblood, MachineGames – affiancati da Arkane Studios – ci propone le conseguenze della vittoria nazista e le successive azioni di Blazkovicz dalla prospettiva parigina del 1980, attraverso la storia delle figlie gemelle del soldato, Jess e Soph, destinate nella capitale francese per via di un destino intrecciato con quello del padre, e pronte a scatenarsi contro le truppe tedesche esattamente come, un paio di decenni prima, era toccato fare allo stesso Blazkovicz sul suolo germanico.
Wolfenstein Youngblood – Recensione
Sangue dello stesso sangue
Le premesse sono importanti e non banali, come da Wolfenstein ci ha sempre abituati. Non era facile proporre uno spin-off all’altezza della serie principale, e la trovata del team di sviluppo, tanto sulla carta quanto in concreto, si è sviluppata davvero bene. L’idea di riprendere la conquista nazista e sfruttarla in modo panoramico sul resto d’Europa produce l’effetto di donare alla saga nuova linfa cavalcando concetti, espressioni e sceneggiatura già propri della serie stessa. Inoltre, la scelta di portarci a Parigi ha di per sé un suo innegabile fascino, dettato dalla cultura e dalla storia di un Paese affascinante che anche ludicamente ha sempre saputo esprimersi al meglio. MachineGames ci ha messo però le sue idee e il suo modo di fare, proponendoci 2 nuove protagoniste all’altezza della fama del padre, più una serie di comprimari e comparsate di buon livello.
La scelta di utilizzare una coppia di protagonisti va a braccetto con la novità più importante del titolo dal punto di vista ludico, ovvero la modalità cooperativa. Wolfenstein Youngblood può essere affrontato totalmente in compagnia di un altro giocatore, sia sconosciuto (quindi pescato dalla rete) sia tramite partita privata con invito diretto ad un player specifico. Non soltanto, caratteristica molto interessante della Deluxe Edition è il Buddy Pass, una feature che consente di giocare in compagnia di un amico che non possiede il gioco. Il Buddy Pass non ha praticamente alcuna limitazione narrativa per l’ospitato, che potrà giocare Youngblood dal prologo all’epilogo; tuttavia, l’unico deficit di non possesso del gioco consisterà nell’impossibilità di sbloccare achievement. Poca roba, considerando che la Deluxe Edition è accessibile per soli 10€ in più rispetto all’edizione base (venduta a prezzo inferiore rispetto alla media, per un totale equiparabile al costo standard di qualsiasi videogame appena uscito). Chi sceglie di giocare online con un altro possessore del gioco dovrà, invece, farsi scudo dagli spoiler, in quanto la storyline si baserà – chiaramente – sui progressi dell’ospitante.
Come ultima opzione, Youngblood può essere giocato anche offline, affidando il controllo della seconda sorella alla CPU. La cooperazione non è dettata solo dalla modalità di gioco, ma anche dalla storyline stessa. Per tutto l’arco narrativo, il videogiocatore è spinto a collaborare con l’altra sorella attraverso azioni da eseguire in due o con reciproco supporto; tali occasioni spaziano tra enigmi ambientali, situazioni scriptate o aree in cui è consigliato seguire un certo approccio, magari per dividersi i nemici in percentuale equa quando si è in netta inferiorità numerica (più del solito, s’intende). La necessità di dover cooperare la si evince anche dalla forma di reciproco soccorso da rispettare per non arrivare al game over: le 2 sorelle avranno a disposizione fino a 3 vite, ciascuna delle quali viene persa nel momento in cui anche solo una delle due protagoniste non viene soccorsa dall’altra dopo un k.o. Fortunatamente, ogni sorella è dotata di una propria energia vitale, garantendo a ciascun giocatore la possibilità di potersi auto-gestire la salute – stesso discorso anche per le munizioni, disponibili simultaneamente per entrambi i player.
I misteri delle vie parigine
La mano di Arkane Studios la si vede soprattutto in termini di level design e caratura delle ambientazioni, con entrambi gli aspetti centrati sull’epoca in cui si svolge l’avventura. Possiamo infatti notare come l’incedere di Youngblood, nonostante la caratteristica linearità in termini narrativi, sia ora più verticale nell’esplorazione, lasciando all’utente la possibilità di scovare percorsi alternativi. Si tratta di un’importante differenza rispetto all’alternanza di corridoi e macro aree a cui ci ha abituato la saga con i capitoli precedenti, nonché un ottimo spunto per le future iterazioni. Queste opportunità restano comunque ai margini dell’esperienza, anche in virtù della struttura di gioco rimasta fedelmente ancorata i canoni degli sparatutto classici, con scene scriptate e sequenze filmate atte a presentare la storia e ad interrompere la linearità dell’incedere.
È la storia stessa a presentarci piano piano la scura Parigi di MachineGames, costituita in distretti sul livello strada e lasciando spazio alle famose catacombe come zona sicura per il videogiocatore, in cui poter conoscere gli NPC e tirare il fiato prima di ritornare in superficie per una nuova missione. Nelle catacombe è anche possibile mettersi a studiare un po’ tutto il sistema di progressione delle sorelle, composto da armi e abilità sempre più utili nell’avanzamento della storia. A differenza dei capitoli precedenti, però, gli utenti di Youngblood non possono contare su un equipaggiamento molto ampio, bensì ritagliato su misura rispetto alla longevità della storyline, inferiore alla media. In ogni caso, esplorando in lungo e in largo la mappa e completando le varie quest, il videogiocatore riuscirà a tenersi impegnato per almeno 20 ore, tempo assolutamente soddisfacente per uno sparatutto nudo e crudo che non si perde in inutili fetch quest e collezionabili – non mancano, però, elementi riempitivi come item funzionali alla storia e backtracking.
Like a Wolfenstein
Mai come in Wolfenstein Youngblood, il team di sviluppo ha avuto la possibilità di poter mettere le mani su uno scenario così suggestivo come quello parigino, peraltro insaporito da tematiche narrative di per sé in grado di influenzare molto il level design e le caratteristiche del mondo di gioco. Tuttavia, non si può dire che il comparto tecnico di Youngblood si fondi su un richiamo costante e completo all’universo alternativo sfruttato con la storyline, in quanto la creatura di MachineGames è rimasta piuttosto fedele alla storia della saga, limitando quasi al minimo la licenza creativa. Il gioco ripropone quindi il suo level design, leggermente meno lineare – come detto, per mano soprattutto di Arkane – con il consueto ritmo frenetico e pieno di colori, esplosioni ed effetti di illuminazione puntuali. La parte tecnica non è stata mai al di sotto di certi standard, a dire il vero, e Youngblood ha di fatto ereditato quanto di buono è stato costruito in questi anni, a cominciare dalle cutscene, sempre in grado di rompere lo schermo.
Come da tradizione, il titolo non soffre della minima indecisione in termini di framerate, campionamenti audio e doppiaggio, e la soundtrack che accompagna i giocatori è piacevole. La realizzazione dei comprimari è tutto sommato di buon livello – ovviamente maggiore cura è stata riposta nelle gemelle e nelle dinamiche cooperative – e anche la dimensione della mappa non tradisce le attese in rapporto alla portata stessa del gioco che, ricordo, in versione standard viene venduta a prezzo decisamente inferiore alla media.
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L'impronta di Arkane si vede nella maggiore verticalità del level design
È uno spin-off che non delude